«La grazia non è un’andatura attraente, non è il portamento elevato di certe nostre donne bene in mostra.
È la forza sovrumana di affrontare il mondo da soli senza sforzo, sfidarlo a duello tutto intero senza neanche spettinarsi».
Erri De Luca, In nome della madre
In nome della madre è la storia di Maria, in ebraico Miriàm, la madre di Gesù. Non si tratta di una ricostruzione biografica della sua vita ma esclusivamente dei nove mesi che vanno dal concepimento alla nascita del figlio. La vicenda la conosciamo bene o, almeno, crediamo di conoscerla. È uno dei momenti fondanti della religione cristiana. L’angelo, i pastori, la stella cometa, il bue e l’asinello sono parte di un immaginario condiviso da tutti, credenti e non, ma qui vengono presentati in una forma totalmente inedita dal momento in cui De Luca sceglie di affrontare la vicenda dal punto di vista di Maria stessa, una ragazzina alle prese con un evento molto più grande di lei.
L’autore, profondo conoscitore dell’ebraico antico e delle Sacre Scritture nonché ateo dichiarato, si mette nei panni di un’adolescente vissuta più di duemila anni fa per farne un ritratto intimo, rispettoso e amorevole, che mette in risalto tutta la sua forza, tenacia e fede.
In nome della madre è un testo poetico ed evocativo che apre diversi spunti di riflessione: all’amore tra Maria e Giuseppe che emerge come sentimento tenero e allo stesso tempo molto terreno, fanno da contrappunto la discriminazione e l’esclusione sociale subite dalla Sacra Famiglia per eccellenza, percepita dai suoi contemporanei come strana, inaccettabile, fuori dalla legge: lei è considerata un’adultera, lui uno stupido, il bimbo il frutto del peccato. Una strana Famiglia che con le proprie scelte si è posta fuori dalla comunità dove è sempre vissuta, diventando extra-comunitaria, diversa.
Note di regia
L’opera di De Luca non nasce come testo teatrale ma sembra avere già in sé una forza drammaturgica. Proprio perché è Maria a parlarci direttamente, a descrivere gli stati d’animo suoi e di chi la circonda, è lei a condurci da Bethléem a Nazareth, è lei che ci “presenta” Gesù appena nato. La scenografia è essenziale: due sedie e due teli di stoffa. Non serve altro per raccontare questa storia. Serve un’attrice, però. Un’attrice istintiva e solida, ma soprattutto generosa. Un’attrice come Patrizia Punzo. Un’attrice non più ragazzina, madre lei stessa, donna del nostro tempo. Sembra così lontana da Maria, dalla sua vita, e il suo non poteva quindi essere un lavoro di immedesimazione. Sin dal principio il viaggio di Patrizia verso Maria è stato complicato, pieno di dubbi… siamo partiti proprio da quelli. I suoi dubbi sono diventati quelli di Maria, le nostre incertezze sono diventate la chiave per provare ad avvicinarci a questa storia e soprattutto per trovare il modo di raccontarla. Patrizia non ci mostra Maria, partecipa la sua tenacia, la sua semplicità, la sua Fede. E questo ormai avviene ogni volta che compie questo viaggio… in nome della madre. Un piccolo miracolo di cui le sono enormemente grato.
Danilo Nigrelli